Con il suo involucro croccante e la fragrante morbidezza del cuore di mollica, la pinsa romana si appresta ormai a divenire l’evoluzione del concetto stesso di pizza.
Questo nuovo prodotto fa infatti della digeribilità il suo punto di forza: la scelta delle farine, di soia, di riso e di frumento, e la lunga lievitazione a biga invertita lo rendono un alimento leggero, ipocalorico e indicato anche agli stomaci più delicati. La bontà della pasta compete solo con la qualità dei condimenti, scelti tra le primizie regionali e artefici di un’esplosione sensoriale che passa attraverso le papille.
Pinsa da pinsere, verbo latino che significa pestare, pigiare, schiacciare, e che racchiude nelle sue sonorità un movimento che, da più di duemila anni, nella nostra terra, si ripete con poche variazioni: mescolare la farina, modellare un impasto, nutrire.
È infatti al mondo romano che dobbiamo guardare per recuperare le prime notizie relative all’uso di polente e focacce, primigenie lavorazioni dei cereali che imbiondivano i nostri campi. Ed è sempre a quelle latitudini che si svilupperà, a partire da quei prodotti e da quei gesti, l’operazione gastronomica che condurrà nel corso di qualche secolo alla realizzazione dell’alimento più amato ed esportato al mondo, la pizza.
Oggi, con un procedimento di archeologia culinaria, alcuni esperti di panificazione hanno quindi cercato di risalire i fili di questa lunga tradizione, riportando alla luce la pinsa di una volta, il cui sapore di pane antico sposa la saggezza del passato con la moderna dietetica.